Quando siamo piccoli gattoniamo e siamo vicini alla terra ma quando cresciamo ci alziamo e andiamo verso l’alto. Come gli alberi.

Prima ancora di aprire gli occhi, Sam realizza di non trovarsi nel suo letto. Del passato più recente non ricorda niente, se non di essere stato abbandonato dai suoi orribili genitori in un’area di servizio, all’inizio delle vacanze estive. Dove si trova ora? E perché è lontano da casa? La risposta alle sue domande – e a tutte le sue paure – è custodita nella tasca dei pantaloni, dove giace spiegazzato un origami a forma di cigno. Sam è un membro della Confraternita dei Cigni Bianchi, nato per salvare la bellezza del mondo minacciata dai Cigni Neri, esseri spregevoli e violenti. Addestrato da Mattia, l’ex compagno della madre, e consigliato da Kisskiss, un rospo di peluche di inaspettata saggezza, Sam fortificherà il corpo e lo spirito, e animato da una nuova fiducia in se stesso supererà prove difficilissime. Mentre porterà avanti la missione, la sua stella, dall’alto, gli rivelerà un altro tassello del suo passato e illuminerà la strada per tornare a casa. Chi lo attenderà dietro la porta, Sam nemmeno lo può immaginare.
Età di lettura: da 10 anni.

Prendere un cane significa essere disposti a vivere una grande avventura con un essere che sicuramente sarà molto più sorprendente di quanto si pensi. 

«Come Biancaneve ha sette nani, così io voglio avere sette cani.» È stata la prima decisione di Susanna Tamaro appena trasferita, da un piccolo appartamento in città, finalmente in una casa in campagna capace di ospitare un buon numero di amici pelosi: il suo primo branco. Così sono arrivati Argo il cane disabile che metteva in fuga i pastori maremmani, Bianchina convinta di essere nel paradiso dei cani, Tobia il cagnone anarchico ma dal cuore nobile, e poi Pongo il cane «banale» che è riuscito a farsi adottare contro ogni previsione, Sissi il breton che cura l’insonnia e persino Archimede, il beagle fedifrago con due famiglie. E tanti altri, compagni di varie epoche della vita e di molte avventure, adottati dal canile, con alle spalle grandi tragedie: «Ho scelto prevalentemente cani che soffrivano, per godermi la conquista della loro felicità», scrive Tamaro. E un arrivo dopo l’altro, la sua casa si è trasformata in un’allegra famiglia fatta di cani e umani, gatti e pappagallini, per tacer delle due asine. Un teatro continuo, tra drammi, risate, emergenze, sorprese. Susanna Tamaro distilla le storie e l’esperienza raccolte in questi decenni di «vita in branco» in un libro che toccherà il cuore di chiunque abbia mai amato un cane, e ne sia stato amato; ma nelle pieghe di queste storie si nasconde anche un messaggio profondo sulla nostra convivenza. Nei nostri tempi squilibrati, intrisi di solitudine e mancanza di senso, infatti, il cane ci dà quella pace, quell’amore fuori discussione, quell’accettazione totale di cui abbiamo bisogno. Così questi amici del cuore, legati a noi da un misterioso imprinting dell’anima, si rivelano capaci di insegnarci la fedeltà, la riconoscenza, la felicità.

Anni fa ho avuto ospite una mia lettrice giapponese innamorata dell'Italia. Avevamo girato per Roma un giorno intero e nel pomeriggio, per rinfrescarci un po', eravamo entrate nella Basilica di San Crisogono: era vuota, immersa nel silenzio e nella penombra. A un tratto, ammirando il pavimento cosmatesco, si era coperta il volto con le mani, e aveva mormorato: "È tutto davvero troppo ".

Dovendo parlare del mio amato Paese, è questa la prima espressione che mi viene in mente.
In Italia tutto è davvero troppo.
Troppa storia, troppa arte, troppa architettura, troppa bellezza profusa a piene mani, troppa disorganizzazione per il mio animo austroungarico, e troppa buona cucina, anche.

La stessa sensazione dell'amica giapponese l'avevo avuta io, a 16 anni, entrando nella Basilica di Assisi. Gli affreschi di Giotto, il chiarore diffuso che filtrava dalle vetrate, la dolcezza del paesaggio: tutto mi rimandava a un'altra dimensione dell'esistere, dimensione che nella mia terra di confine, battuta dalla bora, non mi era mai stato dato di percepire..

Era la prima volta che visitavo il cuore dell'Italia, lo avevo raggiunto in autostop, attirata dalla fama di Francesco: era un ribelle come me, come me cercava orizzonti più ampi di quelli offerti dal quotidiano.

Non sapevo ancora che la mia vita sarebbe stata un corpo a corpo con le parole, non sapevo ancora che quella sete di una luce diversa mi avrebbe consumata, come consuma tutti quelli che si mettono alla sua ricerca.

Che tempi stiamo vivendo? Tempi in cui le parole ci turbinano intorno indistinte e moleste come una nube di moscerini. Il silenzio è ormai assente e questo ci rende come naufraghi in un mare in tempesta. Dal silenzio nascono le domande e che cos'è un uomo senza domande? Un essere che ha reciso le sue radici con il mistero.
Ora - perché negarlo? - ci troviamo su un crinale della storia pericolosissimo. Le guerre che, nella radiosa visione del nuovo Millennio, avrebbero dovuto scomparire si sono moltiplicate ovunque. Ci avevano detto che sarebbero state almeno intelligenti e invece sono le solite folli, sanguinarie e atroci guerre di sempre. Dante definisce la terra "l'aiola che ci fa tanto feroci" e noi a questa ferocia, non solo non abbiamo rinunciato, ma l'abbiamo moltiplicata attraverso tecnologie sempre più sofisticate.
Non è stato forse Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo, con lo spirito profetico che spesso appartiene agli scrittori, a descrivere questa situazione cento anni fa, alla fine della Coscienza di Zeno?

"Forse attraverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute.(…) Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie “.

Uno scrittore, quando è tale, è una persona capace di lottare senza tregua contro i demoni, di sperare, anche nei momenti di buio più intenso, che in qualche punto dell'abisso scaturisca la luce; e che quella luce, che le sue parole hanno avuto il coraggio di inseguire, sia in grado di illuminare le menti e i cuori di chi legge.

Sono nata a Trieste - all'epoca ultimo avamposto dell'Occidente -, quando ancora fumavano le macerie della guerra. Letterariamente, i miei maestri sono stati quattro: Kafka, Rilke, Canetti e Isaac Bashevis Singer; Kafka, per il rapporto ascetico con la scrittura; Rilke, per la capacità di poter dialogare con l'invisibile: Canetti, per la lucidità del pensiero; Singer, per la generosa e umile passione nel raccontare le piccole e grandi debolezze degli umani.

Ma non ho dubbi che questo lungo apprendistato nella cultura del centro Europa, se non fossi venuta a vivere nel cuore dell'Umbria, se non avessi visto tutte le sere, dal mio giardino, il sole illuminare l'oro dei mosaici del Duomo di Orvieto e quello stesso Duomo lanciarsi come una lama di luce verso il cielo, non avrei mai scritto i libri che ho scritto.
Sì, davvero tutto è troppo in Italia.
E questo troppo è strettamente legato alla presenza di un rapporto con la luce che non ha altri nel mondo.

È all'Umbria che dobbiamo anche la nascita di Benedetto da Norcia che, ben settecento anni prima di Francesco, sconvolto dalla decadenza di Roma si ritirò, ancora adolescente, in una grotta sul Monte Taleo e, dopo tre anni in quell'oscurità, ne uscì avendo chiara la sua missione: fondare piccole comunità di monaci dediti, con il loro Ora et labora, a mettere in salvo la sapienza degli antichi. La vertiginosa cultura espressa da Dante nella Divina Commedia non sarà forse anche merito del lavoro di migliaia di benedettini che per centinaia di anni hanno copiato le opere che hanno formato la civiltà occidentale?

La letteratura e la poesia, quando sono davvero tali, salvano la vita, come testimonia Primo Levi in Se questo è un uomo, quando racconta come le terzine di Dante, imparate malvolentieri al liceo, gli fossero riapparse nella mente come un'àncora di salvezza nell'inferno di Auschwitz. La grande letteratura non invecchia, è un'amica che ci accompagna nei secoli e forse mai come ora abbiamo bisogno di questa disinteressata amicizia.
Ma oltre alla Divina Commedia, l'Italia ha regalato al mondo un altro grande libro, Pinocchio di Carlo Collodi. L'essere considerato un libro per bambini e quindi di svago mette in ombra la sua visione profetica.
Non stiamo forse ora vivendo in uno sterminato Paese dei Balocchi? Un mondo che inneggia al divertimento h24, dove il frastuono è così molesto da doversi - come scriveva Collodi - "mettere il cotone negli orecchi per non rimanere assorditi" dove i doveri e gli obblighi sono ridicolizzati, insieme allo sforzo e alla fatica sempre necessari per crescere e per dare un senso alla propria vita.
"Tutti la notte dormono e io non dormo mai" canta l'Omino di Collodi alla guida della carrozza che porta i ragazzi nel Magico Paese. Ma sarà proprio lo stesso Omino che, dopo cinque mesi di svaghi e giochi sfrenati, verrà a prendere Pinocchio e Lucignolo, ormai trasformati in ciuchini, per consegnarli al loro tragico destino.
La letteratura è l'antidoto al Paese dei Balocchi perché richiede impegno, ci spinge a conoscere altri mondi, a coltivare il dubbio, la curiosità e, soprattutto, l'apertura della mente.
È sempre la letteratura attraverso i versi di Dante, a indicarci la via della liberazione:
Non vi accorgete voi che noi siamo vermi nati a formare l'angelica farfalla?

Ecco, ci siamo dimenticati di questo.
La nostra vita è un percorso di continua metamorfosi, nasciamo strisciando come un bruco ma in noi c'è sempre la possibilità di spiccare il volo. La grande letteratura si occupa di questa metamorfosi, di queste ali che tutti noi abbiamo e di cui ormai ignoriamo l'esistenza.
Sta a noi scegliere se rimanere nel bozzolo, strisciare o volare.
Ma per staccarci da terra dobbiamo avere nostalgia del cielo, della bellezza e del mistero che si celano nel cosmo e di tutta la meravigliosa ricchezza del vivente che ci circonda. Quella bellezza che non siamo più in grado di vedere e che, con caparbietà suicida, continuiamo a distruggere, incapaci di percepire il dono della Grazia che è presente anche nelle più umili delle creature. Quella capacità che ci ha lasciato in dono Francesco che, poco prima di morire e già ormai cieco, dettava:
Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle: in cielu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Stupore, meraviglia, gratitudine: sono questi i farmaci di cui ha bisogno il nostro tempo per salvarsi dalla pericolosa onnipotenza della tecnica. Per sfuggire al destino dei ciuchini e ai richiami dell’instancabile Omino - che ci vuole tutti obbedienti ragliatori - dobbiamo entrare in ascolto della vera sapienza, quella luce interiore che è presente nella parte più profonda del nostro cuore. È solo la sapienza che può spingerci ad alzare lo sguardo dal tablet e, rivolgendolo alla volta celeste, a far risuonare dentro di noi le mirabili parole che chiudono la Divina Commedia:

“L’amor che move il sole e l’altre stelle”.

Fonte: @Corriere della Sera

Trent’anni dopo Va’ dove ti porta il cuore, Susanna Tamaro ci riporta all’interno di complesse dinamiche generazionali, regalandoci pagine preziose che sovrastano il vociare confuso di questi tempi. Il vento soffia dove vuole ci cattura, ci consola e ci guarisce.

Ci sono momenti nella vita in cui si sente il bisogno di prendersi una pausa e ripercorrere con calma, senza le continue incombenze quotidiane, le tappe della nostra esistenza. Un viaggio che, anche nei momenti difficili e bui, ci ha portato a provare un sentimento di riconoscenza e gratitudine verso chi ha condiviso con noi il cammino, le prove, le epifanie. Così Chiara, alla soglia dei sessant’anni, approfittando dell’improvviso silenzio che avvolge la sua casa in collina, decide di scrivere tre lettere. La prima alla luminosa figlia adottiva, Alisha, ormai ventenne; la seconda alla diciottenne Ginevra, la problematica figlia naturale; e la terza all’amato e solido marito Davide, con il segreto intento che un giorno la farà leggere anche al piccolo Elia, arrivato in un momento di grande crisi familiare. Sono tutte, in qualche modo, lettere d’amore, declinate nei diversi linguaggi in cui si esprime questo sentimento invincibile e misterioso che ci lega indissolubilmente gli uni agli altri, aprendo nel nostro cuore porte segrete che non sapevamo di avere.

Un romanzo profondo, appassionante e ricco di umorismo che è un inno alla forza dei legami familiari e all’importanza di dare un senso alla nostra vita.

È un’estate come tutte le altre, ma mentre sta andando al mare con la sua famiglia, all’improvviso Sam si trova solo in un’anonima area di servizio. Dov’è finita la sua mamma? Come farà per tornare a casa? Sembra una situazione da incubo, ma da qui il ragazzino parte per un viaggio incredibile, costellato di avventure e di incontri magici: una turista orientale che gli regala un origami a forma di cigno; King, un ragazzino conosciuto nell’area di servizio che gli dona un anello di latta; Kisskiss – un rospo di peluche di inaspettata saggezza – che lo accompagna fino al castello dove il destino di Sam sarà finalmente rivelato. Perché tutti abbiamo una stella che ci protegge, anche quando il cielo è nuvoloso e non la vediamo.
Età di lettura: da 10 anni.

La spensierata corsa dell'umanità verso l'abisso

Chi sono i pifferai magici che, come il flautista di Hamelin, negli ultimi decenni hanno incantato il mondo costringendo un numero sempre più alto di persone a seguirli, abbandonando il mondo dell’etica, quel mondo che, nonostante tutte le sue fragilità, ha permesso fino a tempi recenti all’essere umano di mantenere la sua specificità? Ormai, tutto quello che si può fare, si fa. E le voci che ancora si levano in difesa della misteriosa complessità della vita e della persona vengono ridicolizzate, tacciandole di medioevale oscurantismo. L’uomo non è più un fine, ma soltanto un mezzo e, in quanto mezzo, può essere usato in tutti i modi possibili. Il fatto che il numero di disturbi mentali, di depressioni, di malattie autoimmuni sia sempre più alto non inquieta più nessuno, così come non turba il fatto che il paganesimo sia tornato prepotentemente nella nostra civiltà e che proprio questo paganesimo abbia annullato la responsabilità individuale del male. Il fato decide per noi. Non esiste più il bene, non esiste più il male, non esiste più il giudizio sulle nostre azioni e, anche quando queste sono efferate, siamo convinti di avere diritto all’happy end. Queste riflessioni fatte nel corso degli ultimi anni cercano di mettere a fuoco il progressivo declino della nostra civiltà, incantata dalla suadente musica di questi astuti orchestrali che tutto hanno a cuore tranne il bene dell’umanità.

Credevamo di essere onnipotenti e sbagliavamo. Credevamo di aver capito tutto e non avevamo capito niente. Gli anni della pandemia hanno costituito un grande reset, per tante certezze e tante convinzioni, e il risultato è un trauma collettivo di cui oggi viviamo le conseguenze: una situazione di gravissimo contrasto sociale, patologie psicologiche diffuse in forme acute soprattutto tra i giovani, un’incertezza generale sul futuro. Dobbiamo ritrovare un filo di Arianna in ciò che abbiamo vissuto e usarlo per ricucire la trama della nostra convivenza, se vogliamo sopravvivere come specie. E questo filo è fatto di pensiero e di resistenza: alla disinformazione, alle tentazioni del controllo sociale, a un’«era dello squalene» segnata da sopraffazione e sfruttamento, alla deriva del transumanesimo che minaccia innanzitutto la nostra medicina. Una concezione aberrante secondo cui le persone non sono unioni irripetibili di corpo e anima ma solo oggetti da trattare, da riempire di pillole e vaccini, fino all’estremo di sopprimerle quando non più «funzionali». Susanna Tamaro tesse in queste pagine una riflessione profonda e necessaria sulla natura e sul nostro posto nel mondo, dando voce con l’intensità di una grande scrittrice ai dubbi di molti, non solo sulla gestione passata della pandemia ma sulle intenzioni future di una scienza e di una politica che sembrano aver contratto il virus più pericoloso: la cecità di fronte alla verità della vita. Questo libro suona le trombe di Gerico e sgretola il muro dei pregiudizi, delle pole – miche e dell’arroganza: uno sguardo che si alza libero e ci offre una prospettiva nuova, come un volo di rondini.

Per spalancare il panorama di meraviglie che l’universo naturale contiene non occorrono grandi spedizioni, possono bastare un parco cittadino, un balcone, persino una fessura nel pavimento di casa. Tenendo gli occhi e la mente bene aperti impareremo a decifrare le voci delle rondini e le abitudini dei merli, ad amare alcuni insetti e a combatterne altri, a seguire il ritmo con cui di stagione in stagione si vestono e si svestono gli alberi, dal flessuoso salice al burbero castagno.

Seguire i voli delle rondini o le fioriture delle veroniche. Scoprire che il rospo si «innamora» per primo e che il picchio sa vedere nel futuro. Ricordare che della pervinca scriveva Giovanni Pascoli, dell’usignolo John Keats, e dell’upupa il poeta persiano Farid ad-din Attar. Per spalancare il panorama di meraviglie che l’universo naturale contiene non occorrono grandi spedizioni, possono bastare un parco cittadino, un balcone, persino una fessura nel pavimento di casa. Tenendo gli occhi e la mente bene aperti impareremo a decifrare le voci delle rondini e le abitudini dei merli, ad amare alcuni insetti e a combatterne altri, a seguire il ritmo con cui di stagione in stagione si vestono e si svestono gli alberi, dal flessuoso salice al burbero castagno. «Da quando ho memoria di me, le scienze naturali sono sempre state la mia unica vera passione» ricorda Susanna Tamaro. Una passione mai sopita e che in un tempo di lutti e difficoltà come l’attuale si impone come una necessità, quella di tornare a meravigliarsi, a provare gratitudine per la ricchezza e lo splendore dell’esistente. Il suo «taccuino di appunti» prende vita lungo i mesi grazie a un’osservazione quotidiana colta e intima, che si incanta per il volo delle coccinelle e dialoga con i grandi autori del passato, da Plinio il Vecchio a Charles Darwin. Ritroviamo così una dimensione domestica e sorprendente della natura che appartiene a tutti noi e che abbiamo il diritto di conoscere di più e meglio: perché la conoscenza è la prima e più necessaria forma dell’amore.

Edith e Andrea, una giovane un po’ trasgressiva e un capitano molto rigoroso, si incontrano per caso su un traghetto, tra Venezia e la Grecia. Un evento minimo dei tanti di cui è fatta la vita. Ma la loro cambia per sempre. Dapprima c’è il rifiuto: come possono, loro così diversi, sentirsi attratti una dall’altro? Poi le fasi alterne di un amore dapprima clandestino, le avventure di una lunga separazione, il pericolo di un segreto, una felicità inattesa e una grande prova… E infine l’isola, piena di vento e di luce, dove i due vanno ad abitare ristrutturando una vecchia casa abbandonata. L’isola dove ora Andrea si ritrova solo. I dialoghi veramente importanti, però, non si esauriscono mai: mentre la cura quotidiana del giardino e delle api dell’amata moglie lo aiuta a tornare alla vita, Andrea continua a parlare con lei. Le racconta, con tenerezza e passione, la loro grande storia d’amore. E le promette che ritroverà la figlia, Amy, che da troppo tempo ha interrotto i rapporti con i genitori. Forse è possibile ricominciare, riscoprirsi famiglia, nonostante i dispiaceri e le scomode verità?
Una storia semplice eppure deflagrante, che ci pone domande fondamentali: sui legami che forgiamo tra le anime, sulla nostra capacità di cambiare, sul destino che unisce e separa. Quando ci sembra di aver perso la capacità di stupirci, cercare la luce, prenderci cura, è il cuore che tace o solo noi che non lo sappiamo ascoltare? Un romanzo potente, intenso, ricco di saggezza, capace di segnare la strada per la rinascita che tutti cerchiamo.

Nel Paese dei balocchi in cui viviamo risuona un unico imperativo: «Lascia perdere!».
La memoria e il rigore, l’impegno e l’etica sono fatiche inutili. Le molte realtà straordinarie della scuola e dell’impegno sociale, così come le famiglie, sono costrette a nuotare come salmoni contro la corrente della crisi economica, dell’arroganza al potere, del disprezzo verso i saperi. Eppure a venire oggi alla ribalta non sono solo bambini-erba, senza forma e senza senso del limite, né solo ragazzi-risacca, trasportati dalle maree di qualche vizio o disagio. Sono anzi i giovani stessi, con l’impegno delle loro battaglie e dei loro ideali, a mostrarci che non tutto è perduto.
Il punto di partenza di questa appassionata lettera a un’insegnante sono le emergenze del tempo presente, ma la forza dell’appello di Susanna Tamaro va ben al di là, ponendo questioni fondamentali per ricomporre la nostra convivenza. Di quale sapere abbiamo bisogno per essere in grado di affrontare la vita? Come tornare a comunicare ai bambini l’amore per le domande e la passione per la ricerca delle risposte? Cosa stanno cercando di dirci i ragazzi che oggi scendono in piazza in difesa del futuro di tutti?
Forse al cuore di un nuovo patto possibile tra le generazioni c’è la riscoperta di un concetto rivoluzionario: l’anima. Tornare a nutrirla è la condizione per ricominciare a cambiare il mondo: per una volta, in meglio.

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